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Ravioli alle erbe e rapa bianca di Antonia Klugmann. È il piatto simbolo di Identità Milano 2024

Per interpretare la disobbedienza, tema del congresso, la cuoca triestina ha eletto un primo, italiano e friulano, con erbe amare e “invisibili”: «Gli Italiani hanno la pasta nel Dna»

La locandina della diciannovesima edizione del congresso di Identità Milano, 9/11 marzo 2024. Il piatto simbolo di quest’anno sono i Ravioli alle erbe amare e rapa bianca di Antonia Klugmann, chef e patron del ristorante L’Argine a Vencò di Dolegna del Collio (Gorizia)

«Siamo molto felici che il piatto simbolo del congresso 2024 di Identità Milano sia firmato da Antonia Klugmann. Se in passato eleggevamo preparazioni principalmente per omaggiare cuoche e cuochi che stimiamo e/o pietanze che spiccano per qualità, estetica e innovazione, dal 2020 a oggi scegliamo piatti che siano anche coerenti al tema scelto. Il leitmotiv 2024 è La Disobbedienza: Klugmann ha una visione del suo mestiere e dell’universo della ristorazione che non somiglia a nessun’altra. Il piatto sul quale ha lavorato è disobbediente per davvero perché esce dagli schemi. Esprime un pensiero suo e solo suo, un’identità tra le più forti che ci siano».
Paolo Marchi

Ravioli alle erbe e rapa bianca di Antonia Klugmann, chef e patron dell’Argine a Vencò di Dolegna del Collio (Gorizia). È questo il piatto simbolo del diciannovesimo congresso di Identità Golose (9/11 marzo 2024, Allianz MiCo, Milano), un accorgimento introdotto nella terza edizione del 2007, quando furono elette le Verdure essiccate di Carlo Cracco. Sarà il quarto piatto di pasta in 16 edizioni, dopo Pasta ed elio di Alfonso Caputo (2008), Spaghetti pizza Margherita di Davide Scabin (2011) e Immagine e somiglianza di Massimo Bottura (2022). Il primo, in assoluto, di pasta fresca.

«Ho voluto lavorare su una specialità che tutti gli Italiani hanno nel Dna e su un piatto rappresentativo del mio percorso decennale», racconta Klugmann, «volevo esprimere il mio amore per le erbe e i lavori che abbiamo fatto attorno alle consistenze della pasta fresca». «Nel ripieno», dettaglia, «ci sono una purea di acqua e mandorle – neutre, non amare -, della rucola coltivata molto difficile da trovare, foglie di prezzemolo del nostro orto, foglie di rapa navone dal colletto viola – la rapa con cui si fa la brovada – e foglie di cima di rapa da taglio. Erbe molto specifiche, figlie della stessa stagionalità».

E di un’analisi storica di fondo interessante: «Nei ricettari italiani le erbe sono quasi sempre molto presenti ma non visibili. Per me non hanno mai uno scopo decorativo ma esprimono un concetto di concentrazione unico al mondo. Solo noi trattiamo maggiorana, timo, rosmarino o alloro in modo così presente al gusto ma invisibile. La sfida era quella di concentrare senza rovinare le erbe».

La tecnica: «Come tutti i primi che ho in carta, è un piatto ad alto coefficiente di difficoltà: ha un ripieno molto morbido che mi obbliga ad abbattere il raviolo, e a stare attenta però che non esplodano per il gonfiarsi dell’acqua nel congelatore. Ogni volta che mi cimento con un primo, pretendo da me stessa un’analisi non solo sul gusto ma anche sulla tecnica, che è ciò che rende un piatto mio e solo mio. Il mio desiderio è che la gente possa dire: ‘quel tipo di pasta non poteva farla nessuno se non lei’».

Il gusto prevalente del raviolo è l’amaro. «Lo storico Massimo Montanari ha appena scritto un libro su quanto questo gusto sia profondamente radicato nella nostra cucina. Io credo che sia il gusto italiano per eccellenza, ben più dell’acido o del piccante. Nel menu dell’Argine è collocato nel posto che tradizionalmente spetta al pre-dessert. L’amaro, come il dolce di un sorbetto, azzera infatti l’esperienza palatale e prepara all’assaggio successivo».

Un primo disobbediente, in linea col tema del congresso di Identità 2024: «Proprio per il fatto di essere amaro, è tutt’altro che un assaggio rotondo o ruffiano. È infatti il piatto che piace di meno del percorso di degustazione che ho in carta in questo momento. Ma esprime la mia disobbedienza, che per me è la difficoltà che provo nel seguire regole che non condivido. Ho sempre cercato di costruirmi un’etica personale, un senso mio del giusto e sbagliato. Non è una provocazione; a me non è mai interessato provocare o stupire. Volevo solo ragionare su un piatto di pasta fresca, un simbolo così italiano. E così friulano: da noi, i ravioli dilagano da sempre, dalla Carnia al Carso».

Antonia Klugmann, triestina, da 9 anni esatti al timone de L’Argine a Vencò  (Foto di Brambilla/Serrani)

Fonte: identitagolose