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Identità Milano apre con “Il ruggito dell’Auditorium”

Testo di Alessandra Meldolesi

Umbra di Perugia con residenza a Bologna, è giornalista e scrittrice di cucina.
Tra i numeri volumi tradotti e curati, spicca "6, autoritratto della Cucina Italiana d’Avanguardia" per Cucina & Vini

I giovani leoni della cucina mondiale lasciano il segno nel pomeriggio della prima giornata

Primi a salire sul palco nel pomeriggio Identità Milano day one, i fratelli Felipe e Thiago Castanho, anime del ristorante Remanso do Bosque nello stato amazzonico del Parà in Brasile. Identità Milano ha detto che i giovani leoni della "cucina mondiale" lavorano in Italia, Francia, Spagna, Svezia e Singapore (foto Alessandro Castiglioni)

Panta rei: Felipe e Thiago Castanho sono partiti dalle slides dei genitori, figli di un Brasile rurale, per illustrare il sentimento che pervade la loro cucina di fiume. Alla ricerca dei tesori di un paese che non esiste più. Come un punto di domanda su un’identità travolta dall’accelerazione dello sviluppo, forma di resistenza alla catastrofe antropologica abbattutasi sull’Italia senza lucciole del boom economico. L’açai, bistecca dei poveri, con il pesce fritto ha immesso nel flusso della contemporaneità un cibo di strada poverissimo, approdando a un’estetica informale e iper-contemporanea.

Il barcellonese Rafael Peňa ha riportato il congresso in un mood metropolitano, per quanto attento al prodotto. La sardina marinata con aceto di Sherry, tostata con la fiamma ossidrica e servita con burro all’acciuga, non scevra di influenze francesi, ha fatto virare l’agit-prop del congresso dall’ecologia militante alla democrazia della formula bistronomica. E ancora la tortilla sottovuoto al Roner, simil crema inglese, e il riso con trippa di baccalà, l’amo sempre a picco nella memoria.

Rafa Peña: mood metropolitano
E sullo stesso fronte Bertrand Grébaut di Septime ha portato avanti il verbo bistronomico. Un altro ex di fitti firmamenti gastronomici, il parigino, che ha preso a colpi di ariete il muro fra alta cucina e locali informali. Perché ciò che conta è l’assiette, che contenga il carpaccio affumicato alle erbe, anguilla affumicata, trevisano o l’indivia brasata alla crema di Cantal e cecina. Comfort food d’alta scuola, che dalla mano del cuoco arriva dritto al cuore.

Di tutt’altro tenore l’intervento di Angel Leon, lo “chef del mare”, già assurto alle cronache gastronomiche per avere utilizzato come ingrediente il plancton. La catena trofica è illustrata sul menu del ristorante fino al pesce che va a finire sul piatto. La maggior parte delle volte specie bistrattate, che assumono le sembianze di classiche specialità di carne in un carnevale del creato: insaccati di muggine, ciccioli di murena, trippa di pelle di tonno, colomba di mare, persino burrata di plancton, il latte del mare. Un trompe-l’oeil sistematico e ostinato quale strumento di esplorazione culinaria.

Bertrand Grébaut, Parigi bistronomica
Non il pasto, ma la sua conclusione è stata al centro dell’intervento di Magnus Nilsson, neoprimitivo svedese che al termine del menu continua a omaggiare il suo cliente. Ci sono il caffè preparato in un utensile d’antiquariato e i liquori fatti in casa. E soprattutto la scatola di legno con piccola pasticceria singolare: ribes selvatico congelato, resina di betulla, torroni estremi, bonbon di olmaria, toffee affumicato, pece e uvaspina essiccata, sottaceti secchi, sformatini di renna… Perché i riti della grande tavola non tramontano neppure nelle notti boreali.

Da Singapore l’inglese Ryan Clift ha presentato la sua cucina d’avanguardia screziata di influenze asiatiche e contaminazioni con il mondo del cocktail. In primo piano la tecnica, dallo scientismo del succo di mela azotata alla Xantana emulsionato all’olio di oliva al repechage della fermentazione dal vino, per parificare la creatività di cibo e bevanda. Vedi il prezzemolo frullato con lo Champagne, riversato nella bottiglia per un’ulteriore addizione di CO2, nel classico abbinamento con l’ostrica sotto il segno della mineralità. Al centro del secondo piatto, nato per combattere la celiachia, semi-monografiche carote sotto una selva di verzure. Perché a prescindere dal tasso tecnico, l’egemonia resta nettamente vegetale.