Carne di pollo coltivata, via libera degli Usa alla vendita
Il Dipartimento dell’Agricoltura ha ufficialmente approvato la commercializzazione. E la prima a ordinare il pollo in vitro per il proprio ristorante è stata la pluristellata Dominique Crenn.
Negli Stati Uniti è oramai realtà: il governo federale ha autorizzato in data 21 Giugno 2023 la messa in commercio della carne di pollo coltivata in laboratorio. Sembra pollo, odora di pollo e sa di pollo. Ma tecnicamente non lo è, almeno non nel modo in cui siamo abituati a immaginare la materia prima in questione prima che diventi un ingrediente culinario. Nel momento stesso in cui la legge è stata firmata, una barriera considerata difficilmente sormontabile è stata abbattuta. E così l’animale con ali, zampe e becco diventa solo il bisnonno del nuggets che abbiamo nel piatto: basta una cellula e un bravo tecnico di laboratorio e il gioco è fatto.
GOODmeat e UPSIDEfood. Il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha ispezionato e approvato i sistemi di sicurezza delle infrastrutture di Upside Foods e Good Meat nelle ultime settimane e finalmente le due aziende americane (insieme alla Joinn Biologics che collabora con GM) hanno avuto l’approvazione per sbarcare sul mercato dal 21 giugno 2023. Cosa che hanno provveduto a mettere in atto quasi con effetto immediato, a riprova del fatto che si stava lavorando a questa piccola rivoluzione già da tempo: già a novembre le due aziende avevano ricevuto il nulla osta alla produzione da parte della Food Safety Agency federale, mancavano solo le ultime limature burocratiche, in particolar modo riguardo l’etichettatura. “Un passo da gigante verso un futuro più sostenibile”, così ha definito questo momento di passaggio Uma Valeti, CEO di Upside Foods.
I precedenti. La legalizzazione del commercio della carne sintetica di pollo non è una novità assoluta: già da tre anni un’azienda californiana, la Eat Just (ovvero l’azienda madre alle spalle di Good Meat), era riuscita ad avere le giuste autorizzazioni per immettersi sul mercato, invadendo con tre anni di anticipo, quando in occidente ancora non si parlava fattivamente della coltivazione in vitro della carne, la piazza di Singapore. Le pepite di pollo sintetico erano apparse prima in sparuti bistrot, per poi approdare man mano in tavole sempre più rilevanti all’interno di una delle città gastronomicamente più interessanti del continente asiatico. Una crescita a livello culturale resa probabilmente più facile dall’approccio asiatico al cibo e alla vita, ma non automaticamente sostenibile a livello economico. Come emerge da un reportage di BBC Africa, solo pochi mesi fa a Singapore la Eat Just non produceva più di 3 kg di pollo a settimana, contro i 4 quintali venduti, nello stesso lasso di tempo, da Huber’s, una delle macellerie più famose della megalopoli. Dati difficili da contestare che portano allo scoperto uno degli aspetti al momento più critici della carne coltivata in laboratorio: la sostenibilità economica. Per poter abbassare i prezzi e non andare in perdita vanno aumentati, e di molto, i volumi produttivi. Da qui la contestazione più diffusa: volumi produttivi più alti ci garantiranno in egual modo un minor impatto ambientale. È ancora tutto da scoprire.
Nella foto Piatto di pasta con carne di pollo coltivata da Good Meat a Singapore
Fonte: Repubblica.it