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I dazi di Trump

Con la sospensione per novanta giorni dei dazi più pesanti decisi dal governo degli Stati Uniti, a parte quelli nei riguardi della Cina, il rischio di una guerra commerciale di tutti contro tutti sembra essersi almeno temporaneamente attenuato. Ma sarebbe illusorio pensare che il passo indietro compiuto dal presidente Donald Trump si riveli risolutivo. Come illustra Maurizio Ferrera nel suo articolo che apre il nuovo numero de «la Lettura», l’atteggiamento della Casa Bianca non è frutto di follia o di affrettata improvvisazione. E non si può neppure ricondurre a una cinica manovra di insider trading per far guadagnare qualcuno sui vertiginosi alti e bassi della Borsa di Wall Street.

Siamo di fronte a una strategia, azzardata e rozza quanto si vuole, che alcuni centri studi di tendenza conservatrice hanno elaborato per tentare di porre rimedio a due problemi emblematici del declino che sta vivendo la superpotenza americana: l’accumulo inarrestabile del deficit commerciale e la deindustrializzazione di vaste aree del Paese, con le relative conseguenze in fatto d’impoverimento della popolazione.
Trump, in sintonia con il risentimento di gran parte del suo elettorato, ha individuato un nemico esterno su cui scaricare la colpa delle difficoltà in cui si trovano gli Stati Uniti e un toccasana il cui semplicismo risponde ai canoni più generali della sua narrazione politica. Se siete in sofferenza, dice il presidente ai suoi sostenitori, non è solo perché gli immigrati vi rubano il lavoro (e quindi bisogna deportarli in massa), ma anche perché l’America è stata a lungo truffata dai suoi partner commerciali, la Cina in primo luogo, ma anche l’Unione Europea e molti altri Paesi in giro per il mondo.

Sull’efficacia della linea scelta da Trump in campo economico si possono avanzare motivate riserve. Il passato c’insegna, scrive Giovanni Federico in un altro articolo su «la Lettura», che il protezionismo ha spesso arrecato gravi danni senza produrre i risultati che i suoi fautori si proponevano di conseguire.

Se è improbabile che gli Stati Uniti possano riconquistare il perduto primato tramite le tariffe doganali, appare tuttavia poco plausibile che la Casa Bianca smentisca del tutto i suoi intenti. Ci attende un periodo di turbolenza economica e l’Europa, come suggerisce Ferrera, farebbe bene ad attrezzarsi per affrontarla a ranghi compatti. Spazio per scappatoie nazionali se ne vede assai poco, a dispetto di quanto affermano i più accaniti sovranisti.

Fonte: Corriere – Lettura