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In Iran si urla “Donna, Vita, libertà” Chi è Narges Mohammadi

Come citato a suo tempo questa testata on line tiene traccia e pubblica di volta in volta gli avvenimenti che riguardano le Donne in Iran.

Alla 51enne iraniana Narges Mohammadi è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace 2023.

Attivista per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e della libertà per tutti, Mohammadi è da decenni in prima linea. Attualmente in carcere, condannata a 31 anni e 154 frustate, è stata premiata per la lotta contro l’oppressione delle donne. Nonostante le minacce e le aggressioni da parte dell’apparato di sicurezza iraniano, a cui è soggetta anche in queste giorni fuori dal carcere, – a cui, tra le altre cose è stato vietato di uscire, dal Paese – non ha intenzione di arrendersi: “Mi manca tutto della mia vita passata, soprattutto i miei due figli”, confessa indicando la foto nel salotto che la ritrae coi piccoli Ali e Kiana, andati a vivere all’estero col padre e che non vede da sei anni. Nonostante il prezzo che ha pagato per i suoi video in cui, senza indossare il velo – obbligatorio per le donne in Iran – parla dei temi più disparati (dalla pena di morte, alle condizioni nelle carceri) nella sua casa di Teheran – dove le autorità potrebbero venire a prelevarla da un momento all’altro, sulla base di un’ultima, recente condanna e racconta come intende “fare opposizione” al nuovo governo attraverso il rafforzamento della società civile e si dice certa che gli iraniani “torneranno in piazza”, perché la crisi economica è troppo profonda e “non basterà la revoca delle sanzioni americane” per ridare ossigeno alla Repubblica islamica, il cui vero problema per la crescita è “la corruzione dilagante in ogni settore”.
Mohammadi è stata anche la portavoce del Defenders of Human Rights Center, organizzazione ora bandita in Iran e co-fondata dall’avvocatessa e Premio Nobel Shirin Ebadi. Ad ottobre dell’anno scorso, è stata rilasciata anticipatamente sulla scia di un una vasta campagna internazionale e i timori per l’aggravarsi della sua salute in carcere: stava scontando una pena a 10 anni, comminatale nel 2015, con accuse legate al suo lavoro di attivista per i diritti umani. Meno di un anno dopo, pero, è già alle prese con una nuova condanna a 30 mesi di detenzione e 80 frustrate per “diffusione di propaganda” contro la Repubblica islamica, “diffamazione” e “ribellione contro le autorità penitenziarie”.
E’ stata condannata a un totale di 25 anni, ma è la prima volta che scelgono la fustigazione. Sulla violenza, soprattutto sessuale, contro le donne nelle prigioni iraniane, l’attivista ha ingaggiato di recente una battaglia che auspica si trasformi in una sorta di “#metoo dentro l’Iran”: su Clubhouse – social diventato popolare sia tra la gente comune, che tra i politici di diverso campo in Iran – in una room durata più di sei ore, con oltre 1.500 partecipanti, 15 donne hanno raccontato la loro esperienza di violenze sessuali dietro le sbarre. “Si tratta di un fatto inedito”, spiega Mohammadi, intenzionata ad aprire anche un canale Telegram sul tema. “Dagli Anni ’80 sono numerose le donne stuprate o molestate dai propri carcerieri, ma la maggior parte di loro ne parla solo una volta uscite dall’Iran; il primo passo, però, è proprio condividere le proprie esperienze e renderle un tema nell’opinione pubblica, poi si deve denunciare e infine creare istituzioni civiche in grado di fare pressione sul governo, affinché cambi le leggi”. Le ragazze e le donne “hanno sempre più consapevolezza dei loro diritti e iniziano a disobbedire agli uomini. La legge, però, è contro i diritti femminili e questo crea un pericoloso cortocircuito: sette anni fa, quando ero in prigione c’erano tre donne che avevano ucciso il marito, perché non avevano il diritto di divorziare ed oggi in carcere ve ne sono 16. Mohammadi è convinta che “la gente in Iran tornerà a protestare. La crisi economica è molto dura, gli iraniani sono frustrati, non può continuare così; se non fosse stato per la pandemia che ha chiuso le università (centri nevralgici del dissenso) e vietato i raduni, le proteste del novembre-dicembre 2019 sarebbero continuate. In queste giorni fuori dal carcere, Mohammadi non ha intenzione di arrendersi. “In questo momento mi manca tutto della mia vita passata, soprattutto i miei due figli Ali e Kiana, andati a vivere all’estero col padre e che non vede da sei anni visto che le è stato vietato uscire dal Paese. Nonostante il prezzo che ho pagato, spero e credo che i nostri sforzi porteranno frutti, anche se non nell’immediato”. Mohammadi ora è di nuovo in prigione”, ha ricordato la presidente del comitato norvegese per il Nobel, Berit Reiss-Andersen, annunciando l’assegnazione del Nobel a Oslo. “Il premio per la pace di quest’anno è un riconoscimento anche per le centinaia di migliaia di persone che, l’anno precedente, hanno manifestato contro le politiche di discriminazione e oppressione del regime teocratico iraniano nei confronti delle donne”, ha aggiunto la presidente del comitato. “Il motto adottato dai manifestanti – ‘Donna – Vita – Liberta’” – esprime adeguatamente la dedizione e il lavoro di Narges Mohammadi”, ha concluso.