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Pareri divisi sui limiti al cibo etnico in Toscana

Appoggio del ministro Zaia al provvedimento del sindaco di Lucca

“Il sindaco di Lucca è un mio allievo. Ben vengano queste posizioni a difesa dei nostri prodotti agroalimentari e tipici”: così il Ministro delle Politiche Agricole Luca Zaia ha commentato il regolamento approvato nei giorni scorsi dal Comune di Lucca che limita fast food e ristoranti etnici nel centro storico della cittadina toscana.
Non solo guerra all’ananas, quindi. “Ai ragazzi – ha detto il ministro Zaia – dovremmo dare il nostro prosciutto Dop per far scoprire loro anche la storia del territorio. E i tanti ristoranti cinesi in Italia potrebbero finalmente utilizzare il riso italiano. Così come il kekab potrebbe qui avere come ingrediente principale il nostro vitellone, da filiere certificate. Se lo ha fatto una nota rete multinazionale del fast food che vende, con profitti crescenti, panini a base di parmigiano reggiano, non vedo perché – ha concluso il ministro Zaia – non possano farlo i ristoranti etnici”.
Diverso commento da Slow Food: “in cucina tutte le contaminazioni sono non solo utili ma fondamentali. Il nemico non è tanto il cibo etnico ma quello di pessima qualità. Una cattiva trattoria toscana può fare più danni di un kebab”. Lo ha detto Roberto Burdese, presidente di Slow food, l’associazione che in Italia per prima ha difeso la tipicità e il cibo sano, riferendosi al recente ordinamento del comune di Lucca che ha chiuso le porte al cibo etnico e ai fast food.
“L’identità – ha osservato Burdese – si crea nel confronto, non chiudendo i confini. Non bisogna trasformare riflessioni culturali in brandelli da utilizzare contro presunti nemici. Slow food è la prima a difendere il made in Italy, perchè mangiare per primo quello che è disponibile in casa fa bene all’economia ma anche all’ambiente. Il problema principale resta la qualità del cibo. E per garantire al consumatore cibo sano a tavola – ha concluso – occorre far chiudere gli sporcaccioni e gli intossicanti, a prescindere dal colore della pelle dell’esercente del locale”.
Fonte: Winenews