Parere dell’EFSa sulle sostanze pericolose nell’alimentazione

Il comitato scientifico è stato interpellato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare al fine di elaborare una proposta per un approccio armonizzato alla valutazione del rischio di sostanze con proprietà sia genotossiche che cancerogene.
Si tratta in particolare di sostanze potenzialmente in grado di interagire direttamente con il materiale genetico (DNA) delle cellule dell’organismo e di provocare il cancro.
Si ammette da più parti che l’esposizione a queste sostanze è sempre indesiderata, perché anche quantità minime possono dare adito a rischi, soprattutto in caso di assunzione regolare. Se gli effetti avversi dipendono dall’esposizione in generale, il presente parere riguarda tuttavia soltanto l’esposizione attraverso l’alimentazione.
La comunità scientifica internazionale non ha ancora concordato l’approccio migliore per valutare il rischio di sostanze con proprietà sia genotossiche che cancerogene; per cui sono diversi gli approcci in uso nel mondo. In molti paesi, soprattutto nell’ambito dell’Unione europea, i valutatori del rischio raccomandano ai gestori del rischio di ridurre l’esposizione a tali sostanze entro i livelli più bassi ragionevolmente raggiungibili (il cosiddetto principio ALARA, as low as reasonably achievable). Tuttavia, è noto come questa raccomandazione non fornisca ai gestori del rischio una base adeguata per definire le priorità d’intervento, in termini sia di urgenza sia di estensione delle misure necessarie.
Alcuni approcci attualmente adottati per la valutazione del rischio di sostanze con proprietà sia genotossiche che cancerogene tengono conto del fatto che i cancerogeni hanno potenza diversa, ossia si distinguono l’uno dall’altro a seconda del livello di probabilità di provocare un tumore a partire da una certa dose. Le informazioni sulla potenza provengono essenzialmente da studi di laboratorio condotti sui roditori, mentre sono rari i dati relativi all’uomo. In questi studi gli animali sono esposti ad una o più delle sostanze in questione, somministrate in dosi elevate per quasi tutta la loro esistenza. In tal modo è possibile rilevare ogni incidenza tumorale statisticamente significativa. Per poter esprimere un parere sui potenziali effetti per l’uomo, i risultati degli studi condotti sugli animali devono essere interpretati alla luce dei livelli di esposizione umana, solitamente assai inferiori rispetto alle dosi somministrate agli animali nei test di laboratorio.
Nel tentativo di estrapolare un dato valido per i minori livelli di esposizione riferiti all’uomo a partire dalle dosi elevate utilizzate negli studi sugli animali è stata elaborata e utilizzata un’ampia gamma di modelli, dalla semplice estrapolazione lineare a quelli molto complessi. Le conclusioni che sono state tratte per la stessa sostanza sono quindi diverse, a seconda del modello prescelto. Inoltre, per ciascuna sostanza non è noto se il modello selezionato tenga effettivamente conto dei processi biologici sottesi. Il comitato scientifico pertanto raccomanda di ricorrere a un approccio diverso, noto come “approccio del margine di esposizione” (MOE).
L’approccio MOE utilizza un punto di riferimento, spesso desunto da uno studio animale e corrispondente a una dose suscettibile di provocare una risposta bassa ma misurabile negli animali. Il punto di riferimento viene quindi confrontato con varie stime dell’assunzione attraverso l’alimentazione nell’uomo, tenendo conto dei diversi modelli di consumo.
http://www.efsa.eu.int 2/3
Per applicare il MOE il comitato scientifico raccomanda l’uso di una dose di riferimento (benchmark dose, BMD). La BMD è una dose di riferimento ottenuta tramite modelli matematici dai dati animali compresi nel range dei dati sperimentali. Essa attinge cioè dall’insieme delle informazioni raccolte con tutte le dosi impiegate nell’esperimento. Il comitato scientifico raccomanda l’utilizzo del BMDL10 (limite inferiore dell’intervallo di confidenza al 95% relativo alla dose di riferimento per una risposta del 10%), vale a dire la dose minima stimata, con un 95% di certezza, come responsabile del 10% al massimo dell’incidenza del cancro nei roditori. Il comitato scientifico sottolinea che l’approccio della dose di riferimento può essere applicato anche a dati umani, se disponibili.
Nei casi in cui i dati siano poco adatti per desumere una dose di riferimento, si raccomanda il ricorso alla T25, vale a dire la dose responsabile del 25% dell’incidenza del cancro.
Per quanto concerne la selezione delle stime di assunzione nell’uomo, il comitato scientifico raccomanda di fornire scenari di esposizione diversi, per esempio per la popolazione in generale e per gruppi specifici di essa, a seconda della sostanza considerata e della sua distribuzione nella dieta. Tutte le stime devono essere fornite unitamente alle relative insite incertezze.
Il comitato scientifico è del parere che non si debba autorizzare l’aggiunta intenzionale delle sostanze con proprietà sia genotossiche che cancerogene nei prodotti alimentari né il loro impiego nelle prime fasi della catena alimentare nell’eventualità in cui tali sostanze producano negli alimenti residui con proprietà genotossiche e cancerogene. L’approccio MOE puó essere adottato solo quando, una volta riscontrata la presenza di sostanze con proprietà genotossiche e cancerogene negli alimenti, indipendentemente dall’origine, vi sia la necessità di fare chiarezza sui possibili rischi per le persone che vi sono (o vi sono state) esposte.
Il comitato scientifico fornisce inoltre indicazioni su come interpretare il MOE. Sono stati considerati i seguenti aspetti: differenze tra specie diverse (differenze tra animali e uomo), differenze all’interno della stessa specie (differenze tra persone), la natura del processo cancerogeno e il punto di riferimento sulla curva dose-risposta. Il comitato scientifico è del parere che, in generale, un MOE di 10 000 o superiore, se fondato sul BMDL10 ottenuto da uno studio animale, sarebbe scarsamente preoccupante dal punto di vista della salute pubblica e potrebbe essere ragionevolmente considerato a bassa priorità per gli interventi di gestione del rischio. Sebbene tale giudizio spetti, in ultima istanza, ai gestori del rischio. Per altro, la presenza di un MOE di questa grandezza non deve precludere l’applicazione di misure di gestione del rischio finalizzate a ridurre l’esposizione umana.