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L’Unione Europea toglie data scadenza da pasta e caffè

e anche altri almenti.

L’Unione Europea si appresta a rivedere le norme sulle etichette di scadenza dei prodotti alimentari per far sparire le scritte "da consumarsi preferibilmente entro” dalle confezioni di prodotti come pasta, riso, caffe e formaggi duri. E’ quanto afferma la Coldiretti sulla base dell’ordine del giorno della riunione di Consiglio agricoltura, che si svolgerà a Bruxelles lunedì 19 maggio 2014, in cui ministri affronteranno le proposte delle delegazioni di Olanda e Svezia che intendono richiamare l'attenzione del Consiglio al problema della perdite alimentari e dei rifiuti in Europa con suggerimenti che riguardano l'esenzione dell'obbligo di indicare in etichetta il termine minimo di conservazione o la data raccomandata per i prodotti a lunga conservazione, con il sostegno dell’Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo.

Complice la crisi economica oggi appena il 36% degli italiani dichiara di attenersi rigorosamente alla data di scadenza dei prodotti riservandosi di valutare personalmente la qualità’ dei prodotti scaduti prima di buttarli, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Gfk Eurisko dalle quali si evidenza peraltro che solo il 54% degli italiani controlla quotidianamente il frigorifero e il 65% controlla almeno una volta al mese la dispensa. Con la crisi si registra peraltro una storica inversione di tendenza e con quasi tre italiani su quattro (73 per cento) che hanno tagliato gli sprechi a tavola nel 2013 anche per effetto della necessità di risparmiare e di ottimizzare la spesa dallo scaffale alla tavola. La tendenza al contenimento degli sprechi è forse l’unico aspetto positivo della crisi in una situazione in cui ogni persona in Italia ha comunque buttato nel bidone della spazzatura ben 76 chili di prodotti alimentari durante l’anno.

La tentazione di mangiare cibi scaduti per non sprecare non deve andare a scapito della qualità dell’alimentazione in una situazione in cui molti cittadini sono costretti a risparmiare sulla spesa privandosi di alimenti essenziali per la salute o rivolgendosi a prodotti low cost che non sempre offrono le stesse garanzie qualitative. Con la crisi è crollata la spesa a tavola degli italiani che nel 2014 dicono addio alla dieta mediterranea, dalla pasta (-5 per cento) all’extravergine (-4 per cento), dal pesce (-7 per cento) alla verdura fresca (-4 per cento) rispetto al 2013, secondo le elaborazioni relative agli acquisti nel primo bimestre dell’anno durante il quale le vendite dei cibi low cost nei discount alimentari sono le uniche a far segnare un aumento consistente nel commercio al dettaglio in Italia con un +2,9%.

Il Termine Minimo di Conservazione (TMC) ha un suo significato ed è stato introdotto a garanzia dei consumatori anche se differisce dalla data di scadenza vera e propria. Il Termine Minimo di Conservazione (TMC) riportato con la dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro" indica la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprieta' specifiche in adeguate condizioni di conservazione. Cioè indica soltanto la finestra temporale entro la quale si conservano le caratteristiche organolettiche e gustative, o nutrizionali, di un alimento, senza con questo comportare rischi per la salute in caso di superamento seppur limitato della stessa. Si sottolinea però che tanto più ci si allontana dalla data di superamento del TMC, tanto più vengono a mancare i requisiti di qualità del prodotto , quale il sapore, odore, fragranza, ecc.

Differisce quindi dalla data di scadenza vera e propria che è la data entro cui il prodotto deve essere consumato ed anche il termine oltre il quale un alimento non può piu’ essere posto in commercio. Tale data di consumo non deve essere superata altrimenti ci si può esporre a rischi importanti per la salute. Si applica ai prodotti preconfezionati, rapidamente deperibili da un punto di vista microbiologico ed è indicata con il termine “Da consumarsi entro” seguito dal giorno, il mese ed eventualmente l’anno e vale indicativamente per tutti i prodotti con una durabilità non superiore a 30 giorni.

Attualmente, solo pochi alimenti hanno una scadenza prestabilita dalla legge come il latte fresco (7 giorni) e le uova (28 giorni). Per tutti gli altri prodotti la durata viene stabilita autonomamente dagli stessi produttori, in base ad una serie di fattori che vanno dal trattamento tecnologico alla qualità delle materie prime, dal tipo di lavorazione e di conservazione per finire con l’imballaggio. Per questo, non è difficile, durante un controllo commerciale, vedere due prodotti simili, ma di marchio differente con data di scadenza diversa. E’ infatti compito di ogni singola azienda effettuare prove di laboratorio sui propri prodotti, per misurare la crescita microbica e valutare dopo quanti giorni i valori organolettici e nutrizionali cominciano a modificarsi in modo sostanziale.

Il risultato è ad esempio che per l’olio d’oliva extra vergine alcune aziende consigliano il consumo entro 12 mesi, altre superano i 18, con il rischio di perdere le caratteristiche nutrizionali e di gusto secondo studi del dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari e microbiologiche dell’università di Milano. Tali ricerche evidenziano come gli effetti del mancato rispetto dei tempi di scadenza variano da prodotto a prodotto: per lo yogurt, che dura 1 mese, il prolungamento di 10-20 giorni non altera l’alimento, ma riduce il numero dei microrganismi vivi, mentre al contrario per i pomodori pelati quasi tutte le confezioni riportano scadenze di 2 anni anche se la qualità sensoriale è certamente migliore se si consumano prima.

Fonte: www.coldiretti.it