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I formaggi a pasta filata devono essere posti in vendita confezionati

La vigente normativa stabilisce che la vendita dei formaggi freschi a pasta filata può essere effettuata solamente in confezioni originali. Si tratta del Decreto Legge n. 98/1986, convertito con modificazioni nella Legge n. 252/1986, sostituito dall’art. 23 del Decreto Legislativo n. 109/1992 in parte modificato dall’art. 14 del DLgs n. 181/2003. Il nuovo testo dell’art. 1, comma 1, così recita: «I formaggi freschi a pasta filata, quali fiordilatte, mozzarelle ed analoghi, possono essere posti in vendita solo se appositamente preconfezionati all’origine ».

Tale obbligo era già previsto, antecedentemente all’entrata in vigore del Decreto Legge e della Legge citati, dalla Legge n. 321/1985, che all’art. 1 bis prevedeva la possibilità di vendita dei prodotti in questione «solo nella integrale confezione di origine». Il problema si pone nel momento in cui i rivenditori al dettaglio, avendo acquistato dai produttori o grossisti confezioni di grandi dimensioni (che si presentano regolarmente chiuse e sigillate, con etichettatura conforme alla normativa), le aprono per porre in vendita mozzarelle di varie forme e dimensioni allo stato sfuso e previo frazionamento: pratica che è in generale possibile per i formaggi, nel rispetto dell’art. 16 del DLgs n. 109/1992, ma che, come si è visto, non è consentita nel caso specifico, come confermato anche dal paragrafo 2, lettera C, della Circolare del Ministero della Sanità prot. n. 600.9/24.64/1602 del 31/07/2000 avente ad oggetto “DPR 54/97, criteri di applicazione”.

La stessa Corte di Cassazione Civile, con sentenza n. 4144 del 28/02/2005, ha confermato, a seguito di ricorso, la sanzione comminata nei confronti di un esercente che aveva posto in vendita una treccia di mozzarella non preconfezionata.

I formaggi freschi a pasta filata

I “formaggi a pasta filata” sono quelli per produrre i quali la cagliata, ricavata dalla coagulazione presamica delle caseine del latte, viene messa in acqua calda a 80-90°C, tirata (filata) con le mani o con mezzi meccanici e modellata; quelli “freschi” non vengono stagionati, mantenendo un tasso di umidità superiore al 60% e sono immessi rapidamente al consumo, con una durata commerciale di pochi giorni.

I formaggi devono essere prodotti in stabilimenti “riconosciuti”; unica deroga per i caseifici che vendono esclusivamente al dettaglio, che devono comunque essere “registrati” e dotati di autorizzazione sanitaria ai sensi dell’art. 2 della Legge n. 283/1962. Dal 1° gennaio 2006 le norme di riferimento sono i Regolamenti del cosiddetto “pacchetto igiene”, ed in particolare:

Regolamento (CE) n. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari;
Regolamento (CE) n. 853/2004, che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale;
Regolamento (CE) n. 854/2004, che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano.
La Direttiva 92/46/CEE, recepita in Italia con il DPR n. 54/1997, è stata infatti abrogata dalla Direttiva n. 2004/41/CE.

Preconfezionamento

Secondo l’art. 1, comma 2, il prodotto alimentare preconfezionato è «l’unità di vendita destinata ad essere presentata come tale al consumatore ed alle collettività, costituita da un prodotto alimentare e dall’imballaggio in cui è stato immesso prima di essere posto in vendita, avvolto interamente o in parte da tale imballaggio, ma comunque in modo che il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione sia aperta o alterata».

Nel caso dei formaggi freschi a pasta filata, gli imballaggi utilizzati sono in genere vasi in materiale plastico, chiusi e sigillati, o buste plastiche termosaldate, contenenti il prodotto immerso in liquido di governo. Sono molto usati anche involucri sigillati di plastica o carta, dotati di fori o microfori in modo tale da poter “sgocciolare” il prodotto, presentato immerso in liquido di governo, pesandolo al momento della vendita al consumatore: modalità sulla quale si è sviluppato negli anni un acceso dibattito, culminato nella sentenza n. 12722 del 03/02/1992 della Corte di Cassazione, Sezione Civile I, che ravvisava l’irregolarità per la possibilità di contaminazione del contenuto: motivazione plausibile e condivisibile da un punto di vista sanitario, che tuttavia non è mai stata fatta propria dal legislatore, il quale ha inquadrato il problema esclusivamente sotto il punto di vista commerciale.

Motivazioni dell’obbligo di preconfezionamento

Come si evince dalla Circolare del Ministero dell’Industria del Commercio e dell’Artigianato n. 150 del 16/01/1996, l’obbligo del preconfezionamento «è stato voluto dal legislatore a tutela del consumatore, consentendo che i formaggi in parola gli venissero consegnati con le indicazioni di etichettatura necessarie per conoscere, in particolare, il luogo di produzione, lo stato di freschezza attraverso la data di scadenza e il nome del produttore». Ciò in quanto «le norme di etichettatura dei prodotti venduti sfusi non sono idonee a fornire tale garanzia».

Un’ulteriore conferma di quanto sopra viene dalla nota del Direttore Generale (DGSPC – Uff. B2) del Ministero delle Attività Produttive, prot. n. 769305 del 13/02/2004, diretta al Consorzio per la Tutela del Formaggio Mozzarella di Bufala Campana.

Si tratta, quindi, di motivazioni soprattutto merceologiche e commerciali, che trovano una seria ragione anche nella tutela dei prodotti a denominazione protetta: la vendita, per esempio, di un prodotto sfuso denominato “Mozzarella di Bufala Campana” non tutela né il consumatore, né il produttore aderente al Consorzio di Tutela da possibili frodi.

Tuttavia, la preoccupazione di dare opportune garanzie al consumatore circa lo stato di freschezza in riferimento alla data di scadenza (ma potremmo dire anche alle modalità di conservazione ad essa strettamente legate) evidenzia anche un aspetto sanitario del problema.

La stessa indicazione del nome del produttore, a cui va aggiunta quella dello stabilimento di produzione individuabile attraverso il numero di riconoscimento, garantisce la rispondenza dello stabilimento ai requisiti igienici richiesti. Peraltro, il preconfezionamento protegge il contenuto da contaminazioni microbiologiche, dovute alla manipolazione del prodotto sfuso o al contatto con altri alimenti sfusi posti nello stesso banco espositore (contaminazioni crociate): motivazione che, seppur non rientrando tra quelle ufficiali, non deve essere trascurata. A tal proposito, si veda quanto esposto al paragrafo precedente sulle confezioni forate.

Etichettatura del prodotto preconfezionato

La mozzarella (o altro formaggio fresco a pasta filata) deve pertanto essere posta in vendita con l’etichettatura completa, prevista dall’art. 3 del Decreto Legislativo n. 109/1992, che deve figurare su ogni singola confezione e riportare:

la denominazione di vendita;
l’elenco degli ingredienti (non sarebbe richiesto per i formaggi, rientrando gli stessi nei casi di esenzione; tuttavia, per i formaggi freschi è obbligatoria l’indicazione del sale);
la quantità netta o, nel caso di prodotti preconfezionati in quantità unitarie costanti, la quantità nominale; per i prodotti presentati immersi in liquido di governo, come generalmente sono le mozzarelle, deve essere indicato il peso sgocciolato (art. 9 del DLgs n. 109/1992); la quantità può essere omessa se il prodotto è destinato ad essere pesato su richiesta e alla presenza dell’acquirente (comma 3 del citato DL n. 98/1986, sostituito in ultimo dall’art. 14 del DLgs n. 181/2003 che ha modificato l’art 23 del DLgs n. 109/1992), il che farebbe pensare alla liceità dell’utilizzo delle confezioni forate, che consentono proprio la pesatura del prodotto sgocciolato al momento della vendita;
la data di scadenza, da indicarsi con la dicitura “da consumarsi entro…” (trattandosi di prodotto molto deperibile dal punto di vista microbiologico, non è sufficiente il termine minimo di conservazione indicato con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro…)”;
il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la sede (località di ubicazione) del fabbricante o del confezionatore o di un venditore stabilito nella Unione Europea;
la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento;
una dicitura indicante il lotto di appartenenza (che può essere un numero, una sigla o una data riportata con giorno, mese e anno: per esempio, la stessa data di scadenza, che troverà corrispondenza nelle registrazioni documentate dal produttore);
le modalità di conservazione e, se necessario, quelle di utilizzazione;
le istruzioni per l’uso, se necessario;
il luogo di origine o di provenienza, nel caso in cui l’omissione possa indurre in errore l’acquirente (nel caso, per esempio, dei prodotti a denominazione di origine protetta o a indicazione geografica tipica, peraltro disciplinati da regolamenti comunitari e dagli specifici disciplinari).

Marchio di identificazione

Il bollo sanitario, o “bollo CEE”, già previsto dal DPR n. 54/1997, viene sostituito dal “marchio di identificazione” di cui all’art. 5 e all’allegato II, sezione I, del Regolamento n. 853/2004. Tale marchio, di forma ovale e comprendente il nome o sigla dello Stato Membro, il numero di riconoscimento dello stabilimento e la sigla della CE, deve essere riportato su tutte le confezioni; l’indicazione del bollo sanitario, peraltro, secondo le indicazioni della Circolare n. 167/2001 del Ministero delle Attività Produttive (che possono essere ritenute tuttora valide, in riferimento al marchio di identificazione), può assolvere l’obbligo di indicazione della sede dello stabilimento di produzione o confezionamento; non può, tuttavia, sostituire la menzione del nome e della sede dell’azienda produttrice.

Deroga per i caseifici

L’unica deroga prevista è quella che riguarda la vendita diretta al consumatore nei caseifici di produzione, nei quali non è obbligatorio il preconfezionamento con conseguente etichettatura, ai sensi del citato articolo 3 del DLgs n. 109/1992: qui i formaggi freschi a pasta filata possono essere venduti “preincartati”.

Si noti che la deroga, anche secondo il chiarimento contenuto nella nota n. 600.9/21.66/2914 del 21/10/1998 del Direttore Generale del Dipartimento Alimenti Nutrizione e Sanità Pubblica Veterinaria del Ministero della Sanità, è rivolta esclusivamente alla vendita nei caseifici e non alla vendita effettuata dal produttore in strutture ambulanti o in locali non adiacenti al caseificio stesso.

Preincarto

Secondo il già citato art. 1 del DLgs n. 109/1992, è definito come prodotto alimentare preincartato «l’unità di vendita costituita da un prodotto alimentare e dall’involucro nel quale è stato posto o avvolto negli esercizi di vendita». Il prefisso “pre ” e il tempo “ passato prossimo ” (è stato posto) delineano una situazione nella quale il prodotto alimentare viene posto nell’incarto antecedentemente alla presenza del cliente , allo scopo di essere esposto o comunque conservato in attesa della vendita (che può avvenire a libero servizio o con l’assistenza del venditore). Questa precisazione dovrebbe sgombrare il campo da equivoci: non si può parlare di “preincarto” se l’alimento esposto allo stato sfuso viene inserito nell’involucro in presenza del cliente.

Il preincarto può avere anche le caratteristiche tecnologiche di una confezione (essere, cioè, sigillato in modo tale da dover essere aperto o alterato per poter modificare il contenuto), o essere per esempio un sacchetto per alimenti semplicemente annodato o un contenitore chiuso con coperchio.

Etichettatura del prodotto preincartato

I prodotti preincartati nel caseificio devono essere esposti per la vendita con l’etichettatura obbligatoria prevista dall’art. 16 del DLgs n. 109/1992, essendo equiparati a tal fine ai prodotti sfusi:

denominazione di vendita;
elenco degli ingredienti;
modalità di conservazione (trattandosi di prodotti rapidamente deperibili).
Tali indicazioni possono essere riportate su ogni singolo preincarto (unità di vendita) o sui recipienti o comparti del banco espositore; ogni unità di vendita può essere prepesata e prezzata, o essere venduta previa pesatura al momento della vendita (ovviamente con sottrazione della tara). Un’obiezione sollevata dai produttori nei confronti della vendita in preincarto è quella della necessità di mantenere il prodotto immerso nel liquido di governo, con impossibilità di pesare il prodotto sgocciolato se preincartato in assenza del cliente. Si ritiene che il problema sia risolvibile solamente con l’immissione nel preincarto del prodotto sgocciolato, la prepesatura e la pezzatura della singola unità di vendita e la successiva immissione del liquido di governo necessario, con la conclusiva chiusura del contenitore.

Un’altra soluzione è quella dell’uso di involucri forati, mantenuti nel contenitore contenente il liquido, che possono non essere sigillati e non riportare singolarmente le indicazioni di legge e che dovranno essere pesati al momento della vendita previa scolatura. Su tale modalità di preincarto non dovrebbero pesare le riserve di ordine igienico-sanitario viste a proposito delle confezioni forate, dato che il preincarto, per sua natura, non è necessariamente sigillato e può consentire, comunque, un interscambio tra il suo interno e l’esterno: ciò pone, però, degli interrogativi sulle motivazioni che hanno indotto il legislatore a dettare l’obbligo del preincarto nel caseificio, dato che la protezione igienica sarebbe solo parziale.

La Circolare n. 168/2003

Il Ministero delle Attività Produttive, con la sua Circolare n. 168 del 10/11/2003, ha apportato un importante chiarimento, in considerazione della consuetudine, ormai diffusa, di vendere formaggi freschi a pasta filata sotto forma di preparazioni gastronomiche con aggiunta di altri ingredienti. La Circolare spiega, al punto N), che «la tradizionale aggiunta di ingredienti non lattieri ai formaggi, ad esempio spezie, erbe, noci, olive e simili, (…) non è tale da modificare la natura merceologica del formaggio fresco a pasta filata ». Prosegue affermando che « perché detto formaggio possa essere venduto non preconfezionato, deve essere ingrediente di una preparazione gastronomica, al di fuori del campo di applicazione dell’art. 23 del decreto legislativo n. 109/1992; è necessario, quindi, che il formaggio sia lavorato in maniera sostanziale ed il prodotto finito sia posto in vendita con una diversa specifica denominazione di vendita, che deve essere utilizzata anche dal dettagliante ». L’aggiunta di un po’ d’olio di oliva e/o qualche oliva è considerata dalla Circolare come un artifizio non sufficiente a consentire la vendita al dettaglio del prodotto allo stato sfuso. Pertanto, al fine di poter configurare lo status di preparazione gastronomica devono concorrere le seguenti condizioni:

il formaggio deve essere “lavorato in maniera sostanziale”, essere cioè trasformato, spezzettato, mescolato ad altri ingredienti, così da perdere le caratteristiche del formaggio fresco: si ritengono lavorazioni sostanziali, per fare qualche esempio, le insalate con mozzarella o i nodini di mozzarella mescolati a panna; nel prodotto venduto al cliente la mozzarella deve essere venduta non come tale ma “insieme agli altri ingredienti componenti del prodotto gastronomico” (come specificato dalla già citata nota ministeriale del 13/02/2004), mantenendo di conseguenza, per ogni singolo atto di vendita, le percentuali dei diversi ingredienti rispetto al quantitativo complessivo esposto;
la preparazione non deve essere denominata “formaggio fresco a pasta filata” o “mozzarella”: deve essere etichettata dal produttore, ai sensi dell’art. 3 del DLgs n. 109/1992, con una denominazione diversa, che deve essere utilizzata anche dal dettagliante al momento in cui la confezione originale viene aperta e il prodotto, allo stato sfuso, viene etichettato ai sensi dell’art. 3 del DLgs n. 109/1992.
Circa la denominazione occorre precisare un altro aspetto: essa deve essere “diversa” da quella del formaggio, ma non può essere di fantasia come talvolta rilevato in sede di controllo. L’art. 4, comma 2, dello stesso DLgs, afferma, infatti, che «la denominazione di vendita non può essere sostituita da marchi di fabbrica o di commercio ovvero da denominazioni di fantasia ». Il comma 1-bis recita invece che, in mancanza di disposizioni comunitarie o nazionali che prevedano la denominazione di un prodotto, « la denominazione di vendita è costituita dal nome consacrato da usi e consuetudini o da una descrizione del prodotto alimentare (…), in modo da consentire all’acquirente di conoscere l’effettiva natura e di distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso ».

Dunque, dovrà essere utilizzato il nome specifico della preparazione gastronomica, per esempio:

“caprese” (è una denominazione ormai consacrata da usi e consuetudini);
“insalata con mozzarella” (trattandosi di ingrediente caratterizzante evidenziato, occorre indicare la percentuale di mozzarella presente nella preparazione);
“preparazione gastronomica a base di formaggio fresco a pasta filata” (distingue il prodotto da altre preparazioni gastronomiche; anche in questo caso occorre indicare la percentuale di formaggio).
Nel caso in cui la preparazione sia prodotta nel punto vendita, questo deve essere dotato dell’autorizzazione sanitaria come laboratorio di gastronomia, ai sensi dell’art. 2 della Legge n. 283/1962.

Controlli e sanzioni

I controlli sulle modalità di vendita dei formaggi freschi a pasta filata rientrano nel controllo ufficiale degli alimenti, ora previsti dal Regolamento n. 882/2004.

In materia di etichettatura, peraltro, la vigilanza, sollecitata dagli organi ministeriali e regionali anche a seguito di segnalazioni effettuate da Consorzi di Tutela, viene svolta dai pubblici ufficiali aventi titolo (forze di Polizia dello Stato, tra cui i Carabinieri del NAS, Polizia Municipale, servizi di Igiene degli Alimenti delle Aziende Sanitarie Locali, ai quali la Circolare del Ministero della Sanità n. 27 del 06/07/1993 ha confermato la competenza al controllo sull’etichettatura degli alimenti).

La Circolare n. 168/2003 ha rivolto un invito ufficiale a tali organi di vigilanza ad applicare le sanzioni previste dall’art. 18 del DLgs n. 109/1992. Rientrando la fattispecie nella sfera dei prodotti preconfezionati, deve essere fatto riferimento all’art. 3 di detto Decreto, per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da € 1.600,00 a € 9.500,00; la somma che è possibile pagare in misura ridotta (entro sessanta giorni dalla notifica del verbale di accertamento e contestazione) con estinzione del procedimento è pari a € 3.166,00. L’autorità competente a ricevere gli scritti difensivi da parte dell’autore della violazione (entro trenta giorni dalla notifica) e il rapporto di mancato pagamento da parte dei verbalizzanti e che deve emettere l’ordinanza-ingiunzione di pagamento (o di eventuale archiviazione motivata) è la Regione o Provincia autonoma, fatta salva l’eventuale delega ad ente diverso. I formaggi freschi a pasta filata che siano rinvenuti in vendita allo stato sfuso devono essere sequestrati. Sia per le sanzioni che per i sequestri le procedure sono quelle previste dalla Legge n. 689/1981.

Se, approfittando della mancanza di confezione originale, il commerciante pone in vendita un prodotto per un altro (per esempio, mozzarella fiordilatte per mozzarella di bufala, mozzarella di bufala per Mozzarella di Bufala Campana), commette il reato di frode nell’esercizio del commercio previsto dall’art. 515 del Codice Penale, punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a € 2.066,00; la pena è diminuita da un terzo a due terzi se il delitto è “tentato” (art. 56 CP), se cioè la consegna della cosa non è ancora avvenuta.

Le sanzioni amministrative pecuniarie, previste dal Capo I del Decreto legislativo n. 297/2004 per usurpazione o errato utilizzo di marchio o denominazione di origine protetta ed accertabili da parte degli agenti vigilatori dei Consorzi di Tutela, appaiono applicabili ai produttori e non ai rivenditori.

Conclusioni

Come si è visto, l’obbligo di vendita dei formaggi freschi a pasta filata in confezioni originali risale a venti anni fa, con norme che si sono succedute e aggiornate nel tempo fino ad oggi. Tuttavia, si tratta di un precetto ancora non molto rispettato e non sempre perseguito dagli organi di vigilanza: di fatto, molti consumatori possono ancora acquistare mozzarelle in varie forme e pezzature (nodini, treccioni e altro) sfusi e “a peso”: prodotti che, poi, anche a causa dell’effetto visivo che suscitano, paiono incontrare un grande favore nel pubblico.

La tutela del consumatore e del produttore da eventuali frodi commerciali (vendita di un prodotto per un altro) e la garanzia per il consumatore stesso circa lo stato di freschezza (e, si può aggiungere, l’igiene) del prodotto impongono un comportamento serio e responsabile da parte dei produttori e dei rivenditori, il cui impegno dovrebbe essere volto all’utilizzo di confezioni adeguate per forma, materiale e dimensioni allo scopo di incontrare il più possibile il gradimento dell’acquirente, nonché all’educazione del consumatore — facendogli capire che il confezionamento di una mozzarella rappresenta una garanzia commerciale e sanitaria e non una rinuncia alla genuinità del prodotto — più che alla ricerca di espedienti nel tentativo di aggirare la normativa, come la mera aggiunta di olive, pomodorini o gocce d’olio.

Marco Cappelli

Tecnico della Prevenzione

AUSL n. 5 – La Spezia

Riferimenti normativi, note ministeriali e sentenze

Decreto legge n. 98 del 11/04/1986 – Differimento del termine fissato dall’art. 4, 1° comma, della Legge 8 agosto 1985, n. 430, per l’applicazione della Legge 18 giugno 1985, n. 321, recante norme per il confezionamento dei formaggi freschi a pasta filata (GURI n. 85 del 12/04/1986), convertito con modificazioni nella Legge n. 252 del 11/06/1986 (GURI n. 134 del 12/06/1986).
Decreto Legislativo n. 109 del 27/01/1992 – Attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari (SOGURI n. 39 del 17/02/1992); modificato dai Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 175 del 06/02/1996 (GURI n. 76 del 30/03/1996) e n. 311 del 28/07/1998 (GURI n. 218 del 18/09/1997), dal Decreto Legislativo n. 68 del 25/02/2000 (GURI n. 72 del 27/03/2000) e dal Decreto Legislativo n. 181 del 23/06/2003 (GURI n. 167 del 21/07/2003).
Legge n. 321 del 18/06/1985 – Norme per il confezionamento dei formaggi freschi a pasta filata (GURI n. 154 del 02/07/1985).
Circolare del Direttore Generale del DANSPV del Ministero della Sanità prot. n. 600.9/24.64/1602 del 31/07

Cappelli M