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Avevano ragione gli inglesi ad essere euroscettici?

Agli esordi della moneta unica molti commentatori e giornalisti britannici condussero una violenta campagna contro chiunque esprimesse dubbi sulla sua adozione. Ma la storia ha dato pienamente ragione a questi ultimi.

Ben di rado nella storia politica una fazione o un movimento hanno goduto di una vittoria tanto schiacciante quanto i conservatori scettici nei confronti dell’euro. L’hanno avuta vinta loro. Non soltanto hanno avuto ragione sulla moneta unica, la più importante novità economica della nostra epoca, ma oltretutto hanno avuto ragione per le ragioni giuste. Hanno saputo prevedere con accuratezza e lucidità profetiche come e perché l’euro avrebbe implicato devastazione finanziaria e collasso sociale.

Nel frattempo, coloro che erano favorevoli all’euro si ritrovano nella stessa situazione di chi suggeriva di tollerare il nazismo o dei comunisti all’indomani della caduta del muro di Berlino. Completamente distrutti. Prendiamo il caso del Financial Times, che sostiene di essere il quotidiano economico più importante e influente della Gran Bretagna. Circa un quarto di secolo fa qualcosa deve essere andato storto al FT. Voltando le spalle ai suoi stessi lettori, si lasciò sequestrare da una cricca di giornalisti di sinistra. Lo dimostrò quando se ne uscì dichiarandosi contrario all’invasione delle Falklands. Naturalmente il quotidiano appoggiò poi l’ingresso del Regno Unito nel sistema di cambio dello Sme, nel 1990. Da circa 25 anni a questa parte ha avuto torto in ogni singola questione economica di rilievo.

L’ultimo errore storico cruciale del Financial Times riguarda l’euro. Il FT si lanciò a testa bassa nel campo di coloro che erano favorevoli all’ingresso nell’euro, abbracciando questa causa con uno zelo quasi religioso. Liquidò i dubbi come se niente fosse. A proposito dell’ingresso della Grecia nella zona euro, l’8 gennaio 2001 la rubrica Lex scrisse: “In pochi piangeranno la fine della dracma. L’ingresso nella zona euro offre prospettive di stabilità economica a lungo termine”. Un’accoglienza altrettanto calorosa ricevette sulle pagine del FT anche l’Irlanda.

Ancora nel maggio 2008, quando i boom economici in Irlanda e altrove stavano palesemente iniziando a offuscarsi, il quotidiano insisteva nel suo dogma: “L’unione monetaria europea è un grosso calabrone che ha preso il volo”, si leggeva nella rubrica più importante del FT. “Per quanto inverosimile sia il suo disegno divino, nella vita reale ha avuto successo”. Per essere un giornale che ha la pretesa di essere autorevole in tema di finanza, il modo col quale il FT si è occupato della valuta comune è stato un vero e proprio disastro.

E veniamo alla Bbc. Nelle nove settimane precedenti il 21 luglio 2000 – quando l’argomento euro è arrivato all’apice del dibattito pubblico – il programma Today ha mandato in onda l'opinione sull’euro di ben 121 personalità. Di queste 87 erano favorevoli e 34 contrarie alla moneta comune. Le ragioni addotte a sostegno dell'euro da esperti, interviste e dibattiti furono il doppio rispetto a quelle contrarie. I giornalisti della Bbc tendevano a presentare la posizione favorevole all’euro come "centriste", facendo di conseguenza risultare le voci moderatamente euro-scettiche quasi estremiste e implicando che fossero state sconfitte ancor prima di entrare nel dibattito pubblico.

Più e più volte in seguito la Bbc avrebbe insinuato che se non fosse entrato nell’euro il paese si sarebbe avviato verso il disastro economico o industriale. Quando tali notizie si sono rivelate inattendibili e infondate non si è corretta. Il Regno Unito ha goduto di livelli record per gli investimenti stranieri, ma quando l’istituto nazionale di statistica lo ha reso noto con tanto di cifre, la Bbc non ne ha praticamente fatto parola.

Questi pregiudizi sono andati molto in profondità. Rod Liddle, allora direttore del programma Today di Radio 4, ricorda di aver incontrato un personaggio di altissimo grado all’interno della Bbc per parlare degli scettici nei confronti dell’euro. “Mi disse: ‘Rod, devi capire che questi sono pazzi. Sono assolutamente pazzi’”. In verità gli scettici nei confronti dell’euro avevano sale in zucca. E tanto.

La lezione di Churchill
Nel 1936 Winston Churchill – allora egli stesso una figura di secondo piano, per lo più denigrata – rivolgendosi alla Camera dei Comuni pronunciò le seguenti parole: “Recriminare sul passato serve soltanto a imporre un’azione efficace al presente”. Quali sono dunque le lezioni che dovremmo aver imparato da come i britannici hanno affrontato la questione dell’euro?

Prima di tutto dovremmo serbar cara quella caratteristica così tipicamente britannica che è l’eccentricità. L’analisi del dibattito pubblico all’acme della questione euro dimostra quanto spesso i propagandisti favorevoli all’euro abbiano dipinto come “eccentrici” i loro denigratori. Così scriveva Andrew Rawnsley sull’Observer il 31 gennaio 1999: “Sul versante favorevole all’euro c’è una grande coalizione di imprenditori, sindacati e personaggi politici di primo piano, pragmatici e sani di mente. Sull’opposto fronte invece troviamo un caravanserraglio di ex-qualcosa, di mai-stati-niente e di mentecatti”. In realtà, invece, sono stati proprio quei personaggi pazzi e ostinati fuori dall’ortodossia dell’establishment ad averla avuta vinta.

Per la nostra democrazia continua a essere importantissimo ascoltare il punto di vista di chi è favorevole all’euro. Ma prima di tutto ci devono spiegare per quali motivi hanno cercato di mettere la Gran Bretagna sulla pericolosa strada che ci avrebbe potuto portare nella valuta comune. Prendiamo ad esempio l’osservazione di Danny Alexander, ministro del tesoro, secondo cui coloro che ha etichettato come isolazionisti o nazionalisti anti-europei erano “nemici della crescita”. Per cinque anni Alexander ha guidato la campagna a favore dell’euro, e qualora fosse riuscito a spuntarla avrebbe portato il Regno Unito dritto verso la catastrofe economica. È giunta l’ora di chiamare quelli come lui a rendere conto delle loro ragioni.

(traduzione di Anna Bissanti)

Questo articolo è tratto da Guilty Men, di Peter Oborne e Frances Weaver, edito dal Centre for Policy Studies.